dai mestieri al paesaggio

I maggenghi di Caspoggio, oggi vere e proprie contrade estive, un tempo si animavano di vita contadina: si lavorava il fieno e pascolava il bestiame, in attesa della transumanza sugli alpeggi.

Gli alpeggi di Chiesa in Valmalenco, sulle vie carovaniere e alpinistiche, al cospetto della maestà del Monte Disgrazia e delle cime della valle di Chiareggio, ci parlano di fatica e ci raccontano la tenacia dei contadini di un tempo. 

Negli alpeggi ad alta quota di Lanzada tutto sapeva di fumo e fatica. Si trascorreva l’estate con il bestiame per farlo pascolare nelle terre alte, immersi nella vita semplice e intensa della montagna.

Le vie che conducono ai maggenghi e agli alpeggi di Torre di S.Maria costeggiano laghetti alpini incorniciati dai rododendri e sono circondate da un anfiteatro naturale di rara bellezza. 

Generazioni di donne e di uomini hanno ricamato i versanti di Chiesa in Valmalenco con un’infinità di piccoli terrazzamenti dove, con un lavoro incessante durato secoli, è stato possibile coltivare i frutti della terra.

A Torre di S. Maria, un tempo, ogni piccolo lembo di terra era sfruttato per la coltivazione; la meticolosa suddivisione delle proprietà private e delle diverse colture trasformava i versanti in eleganti scacchiere.

Sul versante tra Torre di S. Maria e Caspoggio i terrazzamenti sono stati inseriti nelle ripide vallette e negli anfratti delle rocce, costruiti persino su enormi macigni per ricavarci praticelli e orti.

Nella culla della lavorazione del Serpentino, il Giovello, nascono le celebri piode della Valmalenco. Un luogo che ha plasmato la storia della valle e dei suoi abitanti, con tracce visibili fin dal Medioevo, tra cave, racconti e antichi sentieri.

La pietra ollare è da secoli un simbolo identitario della Valmalenco, usata per realizzare i tipici lavéc, recipienti da cucina resistenti al fuoco. I torni tra l’alpe Pirlo e l’alpe Giumellini sono testimonianza della sua estrazione e lavorazione e del profondo legame tra l’uomo e la montagna.

A Lanzada, tra torrenti e pendii assolati, i laveggiai scolpivano la pietra ollare con gesti antichi. Nei torni d’acqua di Valbrutta nasceva il lavéc, figlio del fuoco e del duro lavoro. Oggi restano echi di scalpelli e storie nella pietra, memoria viva di un mestiere perduto.

Fino al Novecento, le calchère di Lanzada erano piccole fornaci familiari per la produzione di calce. Quelle di Tornadri, ben conservate, raccontano una storia di ingegno e fatica, legata alla sopravvivenza delle comunità alpine e alla loro capacità di adattarsi all’ambiente.

Le baite degli alpeggi di Campo Moro e di Gera giacciono sul fondo di due laghi artificiali, creati per consentire agli uomini di sostituire le fumose lampade a petrolio con la luce elettrica.